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Trento, 8 giugno 2013
LUIGINO MATTEI, L’INTELLIGENZA DEGLI AVVENIMENTI
di Marco Boato
dal Trentino di sabato 8 giugno 2013

Luigino Mattei l’avevo incontrato per l’ultima volta il 13 dicembre 2012, quando alla Sala Rosa della Regione a Trento abbiamo ricordato in un affollato convegno suo fratello Giuseppe (Beppino) nel decennale della morte. Luigino si era seduto con assoluta discrezione in fondo alla sala. Ma, avendolo notato dal tavolo dei relatori, mentre parlavo del fratello sindacalista, ho voluto anche ricordare il ruolo del fratello giornalista lì presente: due figure straordinarie, che nei loro rispettivi ambiti, hanno lasciato un segno profondo e indelebile nella storia di Trento e del Trentino. Alla fine del convegno, ci siamo parlati con molta cordialità e lui mi ha ringraziato per averlo voluto associare nella memoria storica al ruolo di Giuseppe, che avevo definito la più grande e autorevole figura di sindacalista della storia del Trentino dopo la seconda guerra mondiale.

Ora che purtroppo anche Luigino Mattei è scomparso, sento non solo un grande dolore, ma anche la sensazione che un vuoto improvviso si sia aperto nella nostra società, nel mondo dell’editoria e soprattutto dell’informazione. Ed è quella sensazione lancinante che si prova soltanto quando viene a mancare una persona che ha segnato di sé una intera epoca, che ha formato intere generazioni e che ha contribuito a rendere più aperto, più critico, più plurale, più democratico il volto di questa nostra terra. Senza fare alcun torto ad altri che non ci sono più o ad altri esponenti del mondo dell’informazione che fortunatamente ci sono ancora, credo che anche per Luigino Mattei si possa dire che è stato la più grande e autorevole figura di giornalista nella storia del Trentino del dopoguerra, paragonabile soltanto a quella di un altro grande giornalista, prematuramente scomparso nel 1992, Piero Agostini.

Alberto Faustini, Mauro Lando e Franco de Battaglia hanno ricordato Luigino Mattei con articoli ineguagliabili, ripercorrendo tutte le fasi della sua vita, ricostruendone la complessa personalità, scavando nelle sue radici familiari e culturali, attraversando tutte le diverse tappe del suo lunghissimo itinerario giornalistico ed editoriale. Sarebbe difficile e persino presuntuoso per me ora pretendere di dire di più e di meglio. Posso solo aggiungere la mia testimonianza personale e raccontare inoltre un episodio che non ha lasciato traccia nelle cronache, ma che contribuisce a rappresentarne ancor più vivamente le caratteristiche di coraggio, di innovazione e – per usare una espressione cara ad Aldo Moro – di autentica “intelligenza degli avvenimenti”.

Conobbi Luigino Mattei a metà degli anni ’60, quando era diventato capo della redazione di Trento dell’”Alto Adige” (l’odierno “Trentino”). Per una decina d’anni aveva fatto di questo giornale il punto di riferimento informativo di tutte le minoranze attive nel panorama di questa provincia, senza discriminazioni ideologiche, ma con una vitale attenzione a tutto ciò che contribuiva a dare del Trentino una immagine meno monolitica e uniforme. Per questo fin da prima del ’68 aveva dimostrato un grande interesse per il movimento di Sociologia, e poi per i nuovi movimenti collettivi e sociali che contribuirono a fare di Trento un laboratorio politico e sociale tra i più avanzati in Italia e in Europa, nonostante le arretratezze economiche e anche culturali di allora. Erano gli anni del dopo-Concilio, dei nuovi fermenti sociali e religiosi, dell’impetuosa crescita di un nuovo movimento operaio, della riscoperta dell’autonomismo e del socialismo liberale e “battistiano”, dell’impetuosa affermazione dei nuovi diritti civili e sociali: statuto dei lavoratori, referendum, divorzio, obiezione di coscienza, diritto di famiglia, critica delle istituzioni totali e così via. L’”Alto Adige” era diventato la tribuna “laica” in cui tutti avevano diritto di parola e di ascolto e in cui trovavano spazio tutti i nuovi fermenti che attraversavano la società trentina.

L’episodio non conosciuto. Nei primi mesi del ’68, quando Trento era diventata il teatro di uno dei movimenti più innovativi a livello italiano ed europeo “allo stato nascente” (come avrebbe detto allora Francesco Alberoni) e quando era ancora lontana la radicalizzazione ideologica degli anni successivi, Luigino Mattei propose a me, ancora giovane studente di Sociologia, di promuovere con lui da Trento un giornale nazionale dei nuovi movimenti, a cui lui avrebbe contribuito non solo con la sua regia giornalistica, ma anche mettendo a disposizione qualche sua risorsa personale. Mi chiese di parlarne con Luigi Bobbio, Guido Viale, Adriano Sofri, Mauro Rostagno e altri esponenti del movimento che allora stava esplodendo in tutta Italia. Il progetto non andò in porto, perché tutto era troppo magmatico e incontrollabile e io stesso sconsigliai, dopo qualche verifica a livello nazionale, Luigino Mattei di “rischiare” troppo, anche sul piano personale, in una simile impresa. Lui accettò il mio consiglio e – sia pure con l’apprezzamento generale per la sua iniziativa – non se ne fece nulla e di tutto ciò non è rimasta traccia: un vuoto che ho voluto colmare con questa mia rievocazione “post mortem”. Forse anche quella volta, come altre volte nei suoi successivi progetti, aveva troppo anticipato i tempi.

Ora che Luigino Mattei purtroppo non c’è più, mi piace lasciare sulle pagine del giornale che fu anche “suo” questa testimonianza ormai “antica” su quale fosse la sua generosità, la sua disponibilità a mettersi continuamente in gioco, la sua capacità di capire i cambiamenti profondi della società e delle istituzioni. Un maestro di giornalismo, un uomo culturalmente aperto, “laico” senza pregiudizi ideologici, capace di capire gli avvenimenti e persino di anticipare le trasformazioni più profonde del mondo dell’informazione e di quella cultura che permea di sé i cambiamenti sociali più profondi. Le testimonianze che hanno ora accompagnato la sua morte dimostrano che Luigino Mattei non ha operato invano e che ha lasciato in tutti coloro che l’hanno conosciuto e stimato un segno profondo, davvero indelebile.

Marco Boato

 

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